giovedì 15 febbraio 2007

Il vento de La Coruña

Camminava lenta, evidentemente senza una direzione. Per nulla concentrata sui suoi passi arrampicati su un paio di zeppe ondeggianti in mezzo a una folla di pattini a rotelle e di raggi di biciclette. Non ricordo che faccia avesse, mi torna in mente solo quel fazzoletto verde legato al collo e tormentato dal vento atlantico. Doveva essere quasi estate, ma faceva ancora freddo. Il foulard le si attorcigliava dispettoso ai capelli. Ecco, sì. Ricordo il movimento infastidito delle sue mani sul viso. E la testa gettata indietro a sfuggire al groviglio di riccioli e stoffa. Io me ne stavo appoggiato alla ringhiera, lontano da casa e dai problemi, a godere del vuoto della mia mente. Lei veniva proprio nella mia direzione. Mi aveva quasi raggiunto. “Adesso la fermo” pensavo. Sullo sfondo le case bianche, aggredite dal salino, che si affacciano sul porto. Non c’era null’altro nella mia testa. Solo quelle verande scrostate. “Adesso la fermo” pensavo di nuovo mentre mi falcava davanti sempre più nervosa e ondeggiante, ma non mi staccavo dalla ringhiera, come stregato dal ritmo elegante della sua camminata. “Sì, la fermo e le chiedo di cenare con me. Mangeremo pesce al tavolino di un ristorante sistemato nella piazza appena svuotata dal sole e tappezzata da altre verande. Adesso la prendo e la porto via. E’ laggiù, basta fermarla. basta inseguirla tra i clown e gli artisti di strada che si dannano a divertire i pochi passanti rimasti in questa serata ormai semi deserta”. L’ho cercata con lo sguardo, lentamente. Era come se mi fossi addormentato per qualche minuto perché il grigio del tramonto aveva già opacizzato ogni cosa e lei sembrava essere stata spazzata via dal vento, inghiottita da una di quelle case. Ora, magari, mi guardava dietro la persiana di una di quelle verande. Era bastato aspettare ancora un minuto perché sparisse anche il mio pensiero di lei. Poi la luce era definitivamente calata. In Italia, pensavo, era già sera da un po’.

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